Lo spazio dell’amore
Per quanto possiamo cercare di migliorare noi stessi, di potenziare le nostre capacità, addirittura di difenderci da ogni possibile malattia, ci rendiamo conto che restiamo sempre limitati, imperfetti, bisognosi di cure. Nasciamo proprio così, mancanti, incompleti, incapaci di sopravvivere da soli. Chissà se in questa imperfezione originaria non ci sia già scritto il mistero dell’amore.
Anche la prima chiesa inviata ad annunciare l’amore di Dio è imperfetta. Una Chiesa che si deve muovere: non può rimanere in Giudea, ma deve uscire, camminare, arrivare fino in Galilea, dove trova un pubblico imperfetto, poco ortodosso, lontano dai luoghi del potere politico e religioso. La Chiesa inviata ad annunciare l’amore di Dio è una Chiesa che dubita e persino un po’ ipocrita: «Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono» (Mt 28,17). C’è un atteggiamento esteriore che non corrisponde alla predisposizione interiore. È la nostra imperfezione di cristiani che continuano, fintamente convinti, nelle loro pratiche, mentre nel profondo ci lacera il dubbio. È l’imperfezione di ogni cammino spirituale, di ogni fede che si interroga, di ogni credente che non può non sostare un po’ nella stazione del dubbio.
Quale amore annunciare?
Paradossalmente, solo questa Chiesa imperfetta può annunciare l’amore vero, un amore che non è solitario, non è l’amore del numero uno, non è l’amore del motore immobile di Aristotele, beato nella sua perfetta solitudine, ma non è neanche l’amore del due, l’amore adolescenziale, l’amore della coppia chiusa in se stessa, dove io amo te e tu ami me e tutto il resto non esiste. Se l’amore dell’uno è l’amore del narcisista, di chi non vuole chiedere, di chi si considera l’origine e la fine del mondo, l’amore del due è l’amore della reciprocità sterile, l’amore che non dà frutto e che ben presto si svuota.
L’amore vero è quello dell’eccesso, l’amore fuori di sé, è l’amore che si consegna ad altri e non resta chiuso né nell’isolamento né nella reciprocità. Per questo l’amore vero può essere solo trinitario! È l’abbraccio tra il Padre e il Figlio consegnato all’umanità. È lo spazio della relazione tra il Padre e il Figlio dentro cui ogni uomo è invitato ad abitare. È la comunione che non si esaurisce nella reciprocità, ma che diventa dono per altri. Abbraccio, spazio, comunione, nomi diversi per dire Spirito santo!
Provvidenziale imperfezione
La vana ricerca della forma perfetta ci allontana dalla pienezza dell’amore perché ci chiude nell’isolamento dell’uno, nell’illusione di prenderci cura in maniera assillante del nostro io. Altre volte, quella vana ricerca della forma perfetta ci trascina nel vortice della reciprocità, in cui l’uno diventa misura dell’altro senza arrivare mai alla meta inesistente di un equilibrio consolidato. Non ci resta dunque che amare l’imperfezione, perché solo quando avvertiremo una mancanza, potremo essere riempiti.
La promessa che accompagna tutto il Vangelo, dall’inizio alla fine, è il desiderio di Dio di colmare con la sua presenza questa mancanza che ci abita: il Vangelo di Matteo si apriva con il nome di Emmanuele, Dio che sta con noi, e si chiude con la promessa di Gesù: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo!». Si tratta di una grande inclusione, come un grande abbraccio, l’abbraccio di Dio, che tiene insieme tutta la nostra vita. Dove c’è la presunzione della perfezione, perciò, non ci può essere spazio per Dio, perché il nostro Io occupa già tutto il nostro mondo. Riconosciamo allora il nostro limite e presentiamolo al Signore, affinché sia Lui a colmarlo e a valorizzarlo con la sua grazia.